HomePersonaCervelloUn test dell’olfatto prevede il rischio di demenza

Un test dell’olfatto prevede il rischio di demenza

Lo sappiamo, individuare le fasi e i sintomi premonitori delle malattie è certamente uno degli obiettivi più importanti della medicina e delle neuroscienze, sia dal punto di vista clinico che della ricerca.

Un team di ricercatori della Columbia University Medical Center (CUMC) di New York ha presentato un’interessante proposta: individuare le persone soggette a declino cognitivo attraverso un test economico e non invasivo: un test dell’olfatto.

UPSIT – ovvero University of Pennsylvania Smell Identification Test

Il nostro naso ci aiuta a riconoscere gli odori ma, con l’avanzare dell’età, è noto che la nostra abilità di riconoscere e distinguere gli odori tende ad alterarsi. Perdere completamente il senso dell’olfatto (anosmia) potrebbe suggerire la presenza di un danno cerebrale. Sulla base di questa evidenza, i ricercatori hanno sviluppato due protocolli di ricerca.

1. UPSIT VS corteccia entorinale

antica porta

La corteccia entorinale è considerata la porta d’accesso all’ippocampo, struttura nota per avere un ruolo cruciale nel consolidamento della memoria.

Nel primo studio, i ricercatori hanno somministrato l’UPSIT a 397 anziani sani (età media 80 anni) e, per ciascun partecipante, hanno eseguito un’indagine strutturale del cervello utilizzando la Risonanza Magnetica. Ciò che hanno misurato è stato lo spessore della corteccia entorinale, la prima area del cervello ad essere colpita dalla malattia Alzheimer.

Quattro anni più tardi, 50 di questi partecipanti (il 12,6%) ha sviluppato una demenza e quasi il 20% ha presentato segni di declino cognitivo. I bassi punteggi ottenuti al test UPSIT – che indicano una riduzione della capacità di identificare gli odori – avevano in qualche modo predetto l’insorgenza del disturbo cognitivo anche in assenza di alterazioni di spessore della corteccia entorinale.

2. UPSIT VS beta-amiloide

Nel secondo studio i ricercatori hanno somministrato il test degli odori a 84 anziani (età media 71 anni) ed eseguito la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) o una puntura lombare per analizzare il liquido cerebrospinale con lo scopo di rilevare la quantità di beta-amiloide.

illustrazione della beta amiloide

La beta-amiloide è una proteina che aggredisce i neuroni causandone la degenerazione. E’ ritenuta fattore causale della malattia di Alzheimer.

Sei mesi più tardi, i ricercatori hanno trovato che  il 67% dei soggetti mostrava una compromissione della memoria, predetta questa volta con maggiore precisione dagli esami che indagavano i livelli di beta-amiloide.

I partecipanti che al test degli odori avevano ottenuto un punteggio inferiore a 35 sembravano avere un aumentato rischio di una compromissione della memoria – fino a tre volte superiore rispetto a chi aveva ottenuto punteggi più alti.

La giovane età, le differenze nel livello di istruzione e il minor tempo trascorso prima del follow-up potrebbe spiegare la minore precisione di UPSIT.

Ancora un po’ di strada

Anche se non è ancora perfetto, il test di identificazione degli odori – economico e facile da utilizzare – potrebbe rivelarsi uno strumento utile nella pratica clinica. I risultati di questo studio hanno infatti mostrato che l’analisi dei livelli della beta-amiloide e l’UPSIT sono in grado prevedere quali siano gli individui a rischio di sviluppare una demenza prima della comparsa dei segni clinici, quando la funzione cognitiva è ancora normale o solo leggermente deteriorata.

Il test degli odori potrebbe quindi offrire una valida alternativa agli attuali metodi costosi e invasivi ed essere accessibile a tutti pazienti. Si potrebbe così intervenire preventivamente per contenere la manifestazione clinica della malattia.

La ricerca è stata presentata durante la Association International Conference Alzheimer 2016 a Toronto, in Canada.

Leggi l’abstract della conferenza.

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