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Perchè i robot sono efficaci nella terapia dell’autismo

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In tutto il mondo ieri, 2 aprile, si è celebrata la giornata sulla consapevolezza per l’autismo, un disturbo di cui si sente parlare molto più che negli anni passati, anche in ambito terapeutico e riabilitativo. Uno dei trend del settore è l’impiego di robot per il trattamento dei sintomi specifici del disturbo dello spettro autistico, impiego che sta riscuotendo grande successo e ottenendo sempre più consenso da parte della comunità scientifica. La terapia robotica per l’autismo è studiata in verità da più di un decennio ormai (qui, per esempio, uno studio del 2011). KASPAR fu il primo robot sociale, realizzato alla fine degli anni ’90 con delle sembianze un po’ inquietanti, sì, ma umane.

KASPAR, “robot sociale”

Io stessa ho assistito a quello che un robot umanoide può ottenere nella relazione con una persona con autismo. Ho infatti partecipato come giudice a una semifinale della Nao Challenge, competizione organizzata dalla Scuola di Robotica che ha portato i ragazzi di molte scuole a sfidarsi sul tema dell’inclusione attraverso Nao, il vispo robottino che ho immortalato nel mio selfie (in copertina).

In seguito al racconto da parte dei ragazzi di come Nao sia riuscito a insegnare a Giovanni, compagnetto con autismo, le frazioni, e ad avere osservato i due entrare in relazione, mi sono presa del tempo per analizzare più da vicino il fenomeno e leggere la letteratura scientifica più recente. Lavorando alla progettazione di strumenti anche tecnologici per il miglioramento della qualità di vita delle persone, il tema non può che appassionarmi. Ecco quindi cosa ho scoperto.

I robot migliorano le competenze sociali dei bambini autistici

Lo scopo di molte implementazioni è quello di allenare e facilitare l’interazione sociale. Per alcuni bambini con autismo, infatti, interagire con le persone può essere un’esperienza frustrante. Molti si sentono sopraffatti dall’interazione vis-à-vis e, disorientati dalla grande variabilità espressiva del volto umano, trovano difficile focalizzare l’attenzione e quindi apprendere abilità sociali grazie all’interazione. Questo problema si verifica tanto con le persone più vicine e conosciute (genitori, insegnanti), quanto con gli estranei. Quando interagiamo con una persona, infatti, siamo esposti a numerosissimi segnali sociali (espressioni facciali, tono di voce, gestualità) che sono difficilmente interpretabili per chi soffre di autismo.

Il robot in questo caso diventa un intermediario tecnologico affidabile e prevedibile per il bambino. Ad esempio, se il robot dice qualcosa o esegue un’attività, lo fa sempre ed esattamente nello stesso modo, senza variazioni, cosa che per un umano è quasi impossibile.

Di primo acchito può sembrare controintuitovo: come può un robot dare lezioni di interazione sociale a un umano? Diversi gruppi di ricerca stanno cercando risposta al quesito, indagando anche il grado di efficacia dei robot nell’aiutare i bambini con disturbo dello spettro autistico.

Uno di questi gruppi è LuxAI, azienda spinoff dell’Università del Lussemburgo che con il suo QTrobot dichiara di aumentare l’iniziativa dei bambini verso l’interazione con i terapeuti (umani) e di diminuire il disagio durante le sedute. Questi risultati sono stati presentati al RO-MAN 2018, simposio internazionale su robot e comunicazione interattiva umana, tenutosi in Cina.

I bambini si sentono a loro agio coi robot – più che con le persone

Secondo gli studiosi i bambini con autismo riescono a focalizzare più facilmente l’attenzione sul robot, senza essere distratti da segnali difficili da decifrare. Forse anche per questo, tendono a dirigere lo sguardo verso il robot per circa il doppio del tempo rispetto a quanto non facciano con un interlocutore umano. In più, i comportamenti ripetitivi come il battito delle mani, segno di disagio e ansia, si verificano in media tre volte in meno quando l’interazione avviene col robot e non con un umano. Infine, se nella stanza in cui si svolge la terapia c’è anche un robot, i bambini sembrano essere più predisposti ad interagire con i terapeuti umani, rispetto a quando si trovano soli con il solo umano. Quello che si creerebbe è una interazione triangolare tra il terapeuta umano, il robot e il bambino.

Il robot è più efficace di un’app o un software

Confrontando i risultati dei diversi trattamenti implementati, l’ausilio del robot supera l’efficacia di altre terapie digitali come app e videogiochi. Il motivo sarebbe da ricercare nel vantaggio del robot di essere fisicamente diverso da un monitor, di richiamare la figura umana (lo chiamano appunto umanoide). Mentre un’app su uno schermo risucchia l’attenzione e la concentrazione su di sè, con il robot l’interazione è indispensabile, quindi di fatto incentivata. Lo scopo del coinvolgimento dei robot nel delicato lavoro terapeutico con l’autismo non deve infatti essere quello di catturare l’attenzione dei bambini, ma al contrario di facilitare le interazioni naturali uomo-uomo. Con robot come NAO l’obiettivo è quello di fornire ai bambini con autismo competenze sociali che possano essere applicate nella vita quotidiana.

I robot in aiuto, non in sostituzione dell’uomo

La terapia assistita da robot va intesa come aumentativa rispetto a quella umana tradizionale. L’Intelligenza Artificiale (AI) in combinazione con la robotica avanzata può infatti essere utilizzata come strumento educativo e terapeutico per stimolare la cognizione. In più, i robot come NAO sono utili anche nella raccolta dei dati: possono essere programmati per identificare e stimare l’impegno e l’interesse di ogni bambino durante le sessioni di terapia.

Basterebbero 30 giorni in compagnia di un robot

Di pochi mesi fa è la pubblicazione scientifica su Science Robotics che prova che basterebbero 30 giorni in compagnia di un robot per cambiare in meglio -almeno nel breve periodo- i comportamenti di un bambino autistico. I genitori dei 12 bambini coinvolti nello studio hanno rilevato che le abilità sociali di ciascuno di loro sono migliorate nel corso del mese. In particolare i bambini sono diventati più sensibili alla comunicazione, più inclini ad avviare una conversazione e a mantenere il contatto visivo con gli altri. Anche i punteggi medi di attenzione congiunta sono migliorati tra il primo e l’ultimo giorno trascorso col robot, aumentando del 33% -con una lieve diminuzione 30 giorni dopo la fine dello studio.

Non possiamo dire a questo punto che il robot produca effettivamente cambiamenti sociali duraturi a lungo termine, ma quello che vediamo è molto promettente. – afferma Scassellati, autore dello studio

Quali sono i limiti dell’impiego dei robot?

Robot Nao è alto 58 centimetri ed è nato nel 2006

Nao è alto 58 centimetri ed è nato nel 2006

Ad onor di cronaca vanno raccontati anche i limiti di questa terapia. Innanzitutto, generalizzare le competenze sociali e le abilità apprese coi robot in un contesto relazionale umano non è poi così banale o ovvio. Questo passaggio che decreterebbe il vero successo della terapia richiede infatti un training lungo e intensivo. Ad oggi sono troppo pochi gli studi che coinvolgano un campione rappresentativo o che lo seguano nel tempo, quindi non abbiamo una prova inequivocabile che questi miglioramenti siano duraturi. Sono quindi necessari approfondimenti che testino l’efficacia dei robot con gruppi più grandi di bambini, in degli studi longitudinali.

Un robot in ogni casa

Quello che mi sembra chiaro è che il coinvolgimento dei robot è promettente e che su di essi si stanno investendo risorse economiche e temporali importanti, anche perchè l’umanoide risponde a un bisogno di intervento da parte delle famiglie che sia continuativo e sostenibile nel tempo. Se la maggior parte delle famiglie non può permettersi di avere un terapeuta a casa ogni giorno, è possibile immaginare che così come abbiamo riempito i nostri ambienti di smartphone, intelligenze artificiali, domotica e assistenti vocali, potremo avere un robot per ogni famiglia che si confronta con l’autismo, pronto a intervenire ogni volta che ve ne fosse bisogno.

Scritto da

Donatella Ruggeri è una psicologa, divulgatrice e progettista digitale, con una passione per il funzionamento del sistema nervoso. Dopo aver approfondito gli studi in neuropsicologia e maturato esperienza sul campo, ha integrato le sue competenze nella ricerca e nella progettazione digitale. Fondatrice di Settimana del Cervello, offre coaching psicologico strategico orientato alla crescita personale, combinando conoscenze scientifiche e approcci innovativi per promuovere il benessere e il cambiamento.