Articolo a cura di Mattia Zanzi
Da diversi anni il team di Yale di Ivan de Araujo studia i correlati neuronali del cervello animale che supportano i comportamenti legati all’alimentazione come l’istinto predatorio. La svolta per la comprensione di questi meccanismi è arrivata dall’optogenetica, una scienza che da circa un decennio rivoluziona lo studio del cervello in vivo.
Indice
La tecnica
Alcune speciali proteine hanno la capacità di rendere fotosensibile la membrana di un neurone, ossia di innescare un’attività eccitatoria o inibitoria esponendo il neurone ad un fascio di luce. Queste proteine, dette opsine, non si trovano naturalmente nel cervello, ma è possibile introdurle per via virale, ricavandole da alcune alghe fotosensibili. Una volta contagiati i neuroni, e resi quindi in grado di rispondere alla luce, si passa a controllare la loro attività esponendoli a fasci di luce attraverso dei laser impiantati nel cervello.
L’optogenetica offre un’incredibile risoluzione temporale: la risposta dei neuroni alla luce è di fatto immediata, così, controllando l’attività dei laser millisecondo dopo millisecondo, è possibile regolare in modo sincrono l’eccitazione o l’inibizione dei neuroni. In poche parole, i neuroni si “accendono” e si “spengono” in funzione all’accensione o allo spegnimento dei laser.
Lo studio
Nello studio in questione, uscito su Cell lo scorso 12 Gennaio, il gruppo di de Araujo ha usato l’optogenetica sul cervello dei topi per studiare i correlati neuronali del comportamento predatorio di questa specie. In particolare, questi ricercatori si sono concentrati sull’amigdala, una struttura implicata nella motivazione e nelle emozioni, fittamente interconnessa con molte parti del cervello.
In special modo, il nucleo centrale dell’amigdala ha un ruolo critico nei comportamenti predatori.
Nel momento in cui de Araujo e colleghi accendevano il laser impiantato nel cervello del topo, permettendo così alla luce di raggiungere e attivare i neuroni del nucleo centrale dell’amigdala, il topo saltava sulla preda posta nella sua gabbia, catturandola, afferrandola con le zampe e mordendola per ucciderla.
Questo comportamento era indipendente dal fatto che la preda fosse animata – una cavalletta – o inanimata – il tappo di una bottiglia o un legnetto.
L’amigdala ha connessioni con diverse strutture cerebrali. Nello specifico, la proiezione tra il nucleo centrale dell’amigdala e la formazione reticolare, nel tronco dell’encefalo, media il controllo della muscolatura cervicale e mandibolare, fondamentale per dirigere i morsi letali sulla preda; la proiezione tra il nucleo centrale dell’amigdala e la sostanza grigia periacqueduttale, nel mesencefalo, media invece i comportamenti di ricerca e inseguimento della preda.
Una lesione selettiva ad uno di questi due fasci di proiezione ha permesso ai ricercatori di trovare una doppia dissociazione tra cacciare e mordere la preda: danneggiando la proiezione alla formazione reticolare il topo si limitava a cacciare la preda senza però morderla; viceversa, danneggiando la proiezione al grigio periacqueduttale il topo smetteva di cacciare la preda, ma rimaneva in grado di morderla ed ucciderla.
Tra gli altri risultati è stato notato che i comportamenti predatori diminuivano se il topo era sazio rispetto a quando era a digiuno, e cessavano del tutto nel caso in cui la preda era un altro topo posto nella sua stessa gabbia.
L’amigdala riceve diversi tipi di informazioni sensoriali, visive, olfattive e acustiche, e questo spiega il suo coinvolgimento nei comportamenti predatori. A tal proposito, gli obiettivi futuri del team di Yale saranno da un lato chiarire come queste informazioni sensoriali inneschino i comportamenti predatori, dall’altro indagare i meccanismi legati alla dissociazione tra i comportamenti di caccia e di uccisione.
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Sull’autore
Mattia Zanzi studia Neuroscienze all’Università degli Studi di Trento. Ha scelto di studiare Neuroscienze perché è l’ambito di ricerca che rappresenta il tentativo del cervello di conoscere se stesso. Il suo obiettivo è quello di diventare ricercatore. Attualmente lavora a due progetti di ricerca: uno studia le oscillazioni neurali nei compiti attentivi attraverso la Magnetoencefalografia, l’altro indaga i processi cognitivi negli animali. I settori di ricerca a cui è maggiormente interessato sono il linguaggio, la memoria di lavoro e le neuroimmagini.