La Stimolazione elettrica Transcranica – tES – è una metodica nata nel secolo scorso che ha riscosso un grande interesse solo negli ultimi anni. Il fatto straordinario è che consente di modulare, attraverso una corrente a bassa intensità, l’attività delle cellule del cervello.
Questo ha aperto prospettive tanto importanti da aver consentito, almeno sperimentalmente, di mettere a punto uno strumento in grado dirci qualcosa in più sulla mente. Da tempo sappiamo infatti che la mente è frutto dell’attività del nostro cervello. Modulando l’attività delle nostre connessioni neurali con la tES, possiamo modulare aspetti motori e cognitivi ad esempio legati all’ideazione o all’elaborazione del linguaggio.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Rossi, professore di Fisiologia umana e di Neurologia all’Università degli Studi di Siena.
Alessandro Rossi è Direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Neurosensoriali del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena.
Indice
Prof. Rossi, le tecniche di neurostimolazione sono diverse. Ce n’è una particolarmente promettente?
Se si parla di tecniche di neurostimolazione in senso lato, quella che è già considerata una realtà terapeutica è la Stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation). Viene applicata ai soggetti con forme di Parkinson farmacoresistente, nei casi di distonia e in alcune forme di epilessia. La Stimolazione cerebrale profonda è una tecnica invasiva che stimola strutture cerebrali profonde. C’è poi la Stimolazione Magnetica Transcranica – TMS – che può essere una forma di neurostimolazione, se vogliamo, ad alto costo. Non può però essere considerata promettente, perché ha una base scientifica ormai pluridecennale.
Le tecniche forse più interessanti introdotte di recente nell’ambito della ricerca e della clinica sono
- la Stimolazione a corrente alternata (tACS)
- la Stimolazione elettrica transcranica
Entrambe hanno la capacità di modulare l’attività di determinati network cerebrali. Tuttavia presentano ancora limiti che non sono stati risolti e riguardano in particolare il controllo preciso della distribuzione della corrente e la focalizzazione di questa modulazione.
Da alcuni mesi sappiamo che le aree cerebrali sono quasi il doppio di quelle classicamente identificate e che sono state punto di riferimento per tanto tempo. Questo dato apre il problema dell’evoluzione tecnologica per consentire la maggiore focalizzazione possibile dello stimolo.
Come si fa a capire cosa produciamo dentro il nostro cervello quando applichiamo una stimolazione esterna?
Prendiamo ad esempio un esperimento. Immaginiamo di registrare l’attività cerebrale di un soggetto attraverso la tecnica di elettroencefalografia ad alta definizione. Questa ci permette di registrate l’attività elettrica della corteccia cerebrale da oltre 100 elettrodi posizionati sulla corteccia e di ottenere informazioni nell’ordine dei millisecondi.
Ora applichiamo uno stimolo elettrico e immaginiamolo come fosse una pallina lanciata. Con l’EEG ad alta definizione possiamo seguire sia il percorso della “pallina” che, in altri termini significa, descrivere il percorso di una determinata via di connessione cerebrale perché la “pallina” (cioè lo stimolo elettrico che abbiamo applicato) seguirà le vie presenti nel cervello.
Vi sono altre tecnologie che consentono di descrivere le vie di connessione del nostro cervello. Queste sono le tecniche di risonanza magnetica avanzata, come la risonanza magnetica funzionale (principalmente nella sua configurazione chiamata “resting-state”) e la tecnica del Tensore di diffusione. Quest’ultima, come per l’esempio fatto con la pallina, è in grado di seguire il percorso di palline, che in questo caso sono le molecole di acqua che scorrono lungo le fibre nervose. Sui vantaggi e svantaggi di queste tecniche di analisi del cervello ho diffusamente parlato in un saggio recentemente pubblicato dalla rivista MicroMega – Almanacco della Scienza.
Ci sono persone che applicano la neurostimolazione a casa con apparecchi “fai da te”. Un fenomeno che ha preso piede soprattutto all’estero. Quali sono i rischi della neurostimolazione non controllata?
Abbiamo pubblicato un editoriale sulla rivista internazionale Brain Stimulation, relativo ai rischi della stimolazione fai da te. Questa pratica è sostanzialmente alimentata dalle aziende che mettono in commercio neurostimolatori con la promessa di migliorare la memoria, il problem solving o altre funzioni cognitive.
Quando si usano stimoli elettrici per indurre una modulazione dell’attività elettrica nei nostri neuroni, ci sono numerose variabili che devono essere tenute sotto controllo. Ad esempio, la quantità di corrente che uno stimolatore produce è funzione del voltaggio e della resistenza della cute la quale non è costante e questi parametri non possono essere da persone inesperte e senza strumenti di laboratorio.
Il rischio riguarda soprattutto il possibile danno che l’applicazione cronica ed errata di corrente può produrre alle cellule cerebrali.
La neurostimolazione non può essere fatta in casa. Possiamo stimolare o modulare l’attività del nostro cervello con strumenti affidabili solo quando abbiamo un’accurata conoscenza specialistica su
- cosa sono e come funzionano i neuroni
- quali sono le loro risposte alle correnti esterne
- che tipo di correnti sono adatte a produrre risposte fisiologiche dei neuroni
- quali sono le risposte che dobbiamo produrre e quelle che dobbiamo evitare
Il cervello è il più complesso sistema dell’universo conosciuto. Le sue funzioni si basano sulla interazione di 100 miliardi di neuroni collegati tra loro da 240 mila km di connessioni. Ciascun elemento influenza una quantità enorme di altri elementi. Inserire in questa complessa organizzazione delle variabili esterne in maniera casuale (neurostimolazione fatta in casa) significa alterare un sistema che, entro certi limiti, può recuperare la sua naturale funzione, ma questo recupero potrebbe essere parziale se le correnti sono applicate male e in maniera continuativa.
Le persone si danno al “fai da te”, perché pensano che, mettendo degli elettrodi in testa, possono rafforzare, o migliorare le proprie funzioni cognitive. Ma inserire dall’esterno una corrente senza avere competenze specifiche e controllo sullo stimolatore è un danno a priori. Non solo per ciò che è stato detto sopra ma anche perché la risposta del cervello alla stimolazione è soggettiva: alcuni possono migliorare, altri peggiorare, oppure migliorare una funzione ma peggiorare un’altra.
Tornando alla connettività cerebrale: cosa sono e a cosa servono gli studi cosiddetti resting state?
Gli studi di resting state permettono di indagare e catturare l’attività neuronale spontanea del cervello quando il soggetto non è sottoposto a stimolazione. Questi studi condotti con Risonanza Magnetica funzionale permettono di esplorare la connettività tra regioni cerebrali anche tra loro molto lontane ma collegate funzionalmente.
L’uso del resting state ha permesso di identificare le principali reti funzionali del cervello in condizione di riposo, quando il soggetto non deve eseguire alcun compito specifico. Abbiamo scoperto che vi sono circuiti cerebrali che controllano le funzioni introspettive, il nostro pensiero astratto e creativo.
Studiare la connettività del cervello con la tecnica del resting-state ci permette anche a predire la risposta a seguito di una lesione o di una malattia neurologica. Ci aiuta a capire quali saranno le conseguenze di un danno cerebrale che possiamo simulare in laboratorio. Possiamo cioè fare lesioni virtuali in cervelli che abbiamo studiato con il resting-state.
Lesioni virtuali. Come si fa e perché?
Sappiamo che uno stesso danno in una stessa zona cerebrale può comportare effetti differenti in differenti soggetti. Per esempio, una lesione che colpisce l’area del linguaggio può causare una grave alterazione della parola in qualcuno oppure danni del tutto marginali in un altro.
Quello che oggi possiamo fare è lavorare sulla predizione matematica degli esiti di un danno cerebrale virtuale. Abbiamo pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Cortex in cui sono state simulate lesioni dell’area del linguaggio in cervelli differenti e abbiamo analizzato le conseguenze che tali lesione, se reali, avrebbero prodotto. Abbiamo dimostrato che le conseguenze della stessa lesione sono più o meno gravi a seconda del tipo di architettura che hanno le connessioni presenti nell’area motoria del linguaggio.
“Noi siamo le nostre connessioni” e questo ci dice che il cervello di ognuno di noi è unico. Ognuno di noi possiede un’architettura neuronale che ci differenzia come individui. Le connessioni che ci rendono “noi” si modificano ed ampliano nel corso della vita a seconda delle esperienze e degli eventi. Per capire come funziona il cervello e come reagisce agli stimoli, non occorre solo conoscere le singole componenti, ma anche il modo in cui queste interagiscono tra loro. Una cosa che, poco alla volta, ci ripromettiamo di scoprire.