In occasione della giornata di studio La Psicologia nel Terzo Millennio che si terrà a Firenze il 24 novembre ho scambiato due chiacchiere con Lorenzo di Natale, col quale ho di recente lanciato a Cerebrum) app di Riabilitazione cognitiva in Realtà Virtuale) per mettere nero su bianco alcuni punti fermi sulla psicologia digitale. Lorenzo è co-fondatore di Idego – Psicologia Digitale, autore del recentissimo Finestre sul futuro, e di numerosi articoli sul tema e a Firenze terrà un intervention dal titolo La psicologia digitale.
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Lorenzo, Facciamo chiarezza. La psicologia “digitale” è tutto ciò che si fa di attinente alla psicologia tramite un supporto digitale?
In un certo senso sì. Per l’esattezza, il termine Psicologia Digitale è stato introdotto per la prima volta in Italia, in modo più strutturato, da Alessandro Calderoni, con l’omonimo libro “Psicologia Digitale”, nel quale viene descritto un humus tecnico-culturale, quello odierno, in cui la téchne diviene sempre più un sistema nervoso esterno per l’essere umano (per citare Mc Luhan). In questo nuovo contesto culturale, se da un lato è opportuno interrogarsi su quali siano le conseguenze psicologiche connesse ai processi di trasformazione tecnologica in atto, dall’altra diventerà sempre più necessario progettare le tecnologie affinché promuovano il benessere della persona. Dagli interventi online alla Realtà Virtuale, inoltre, la tecnologia può offrire nuove opportunità agli operatori della salute mentale, specie a fronte di un linguaggio, quello delle nuove generazioni, in evoluzione.
Qual è per te una definizione completa di “psicologia digitale”?
Come avrete inteso con Psicologia Digitale facciamo sostanzialmente riferimento a quel vasto campo spesso individuato con l’appellativo di ciberpsicologia (che fa molto anni ’80!) o psicologia dei nuovi media. Credo che la definizione più puntuale sia quella del prof Giuseppe Riva, massimo esperto in psicologia dei nuovi media, che la descrive come una disciplina che si occupa dello studio, della comprensione, della previsione e l’attivazione dei processi di cambiamento che hanno la loro origine principale nell’interazione con i nuovi media comunicativi.
Se esiste una psicologia digitale, esiste anche uno “psicologo digitale”? In cosa si differenzia da uno psicologo canonico?
Certo. Seguendo la definizione del prof. Riva possiamo pensare allo Psicologo Digitale o come un ricercatore, impegnato nell’indagine delle implicazioni psico-sociali dell’evoluzione tecnologica (nativi digitali ed identità digitali, relazioni al tempo dei nuovi media, nuovi fenomeni sociali quali il cyberbullismo, opportunità e rischi dei videogames, nuove dipendenze comportamentali quale quella da internet o da smartphone, e molto altro). Oppure come un clinico, che impiega devices quali strumenti integrativi delle pratiche tradizionali. Lo psicologo digitale deve possedere il linguaggio dei nuovi media, averne familiarità, deve essere formato alle stesse, deve essere consapevole delle opportunità e dei limiti, dei rischi, ma non deve essere un ingegnere. Il suo mestiere è diverso. Lo Psicologo Digitale è uno psicologo curioso, consapevole della necessità di aggiornare i propri linguaggi. Lo Psicologo Digitale non ha meno competenze di uno psicologo “tradizionale”, ma anzi ne deve avere di più.
Quali sono i trend nel mondo, quali in Italia, a che punto siamo? Quanti sono, se ci sono delle stime o possiamo farle, gli “psicologi digitali” in Italia?
In realtà in Italia abbiamo diversi centri di eccellenza internazionale nel campo della Psicologia Digitale. Sia tra le Università che tra i centri di ricerca. Penso alla Cattolica di Milano, all’Università di Padova, all’Istituto Auxologico e al suo lavoro con la Realtà Virtuale, al Don Gnocchi, alla fondazione Santa Lucia. Un po’ diversa la situazione tra i liberi professionisti, ma anche qui i trend, seppur con qualche ritardo, vanno nella stessa direzione di quelli mondiali. I dati del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP, 2017) relativi alla digitalizzazione della professione ci informano che i siti con finalità di supporto sono ormai centinaia, e diverse migliaia gli psicologi iscritti a portali finalizzati a far incontrare domanda e offerta di servizi psicologici. Circa le pratiche online, una recente ricerca del CNOP (2017) ha rilevato che il 16% degli psicologi ha già svolto interventi via web, mentre il 54% si considera interessato allo strumento. Aggregando i dati relativi agli erogatori e agli interessati si raggiunge dunque il 70% del totale.
Circa l’impiego di altri strumenti tecnologici, quale la Realtà Virtuale e Aumentata, i dati tra i liberi professionisti sono allo stato irrisori, ma grazie anche al lavoro di realtà quale IDEGO stiamo lentamente recuperando il gap con gli altri paesi europei.
Come dicevo hai di recente pubblicato, con il collega Simone Barbato, Finestre sul futuro, un libro che parla proprio di psicologia digitale. Cosa vedete tu e Simone, con Idego, da queste finestre?
I processi di trasformazione tecnologica in atto plasmeranno un futuro sempre più iper-tecnologizzato. Si evolveranno la mente e il linguaggio, cambierà il modo di esprimere il disagio e la sofferenza, e si trasformerà conseguentemente il modo di promuovere il benessere, nonché di intercettare e trattare il disagio.
Questo è quello che noi vediamo: il futuro della Psicologia, e forse della stessa umanità, è la Psicologia Digitale, come chiave d’interpretazione, comprensione e guida dei processi di trasformazione bio-psico-sociali in atto.
Esisteranno corsi di laurea in psicologia digitale? Dovrebbero istituirli? Perché?
Certo che li istituiranno. Nel medio periodo saranno parte integrante del percorso formativo dei futuri psicologi. Perché, solo per fare un esempio, non possiamo più pensare di studiare psicologia dello sviluppo senza considerare come cambia la mente 2.0, come cambiano i processi attentivi, mnesici, di apprendimento delle generazioni touch-screen, di quelle generazioni che crescono con un tablet in mano. Perché non possiamo più permetterci di girarci dall’altra rispetto alla rivoluzione che abbiamo sotto gli occhi. Perché, in definitiva, dobbiamo riappropriarci di una chiave psicologica di lettura di queste trasformazioni.
Insieme ai colleghi Alessandra De Toffoli, Luisa Vignozzi, Laura Berti, Simone Barbato, Carmelo La Mela, Paola Serio (leggi l’intervista “Essere psicologi ai tempi dei social”), Tommaso Ciulli e Manuele Ulivieri il 24 si discuterà delle applicazioni e del futuro della psicologia. Vi aspettiamo a Firenze!