1 dicembre, giornata mondiale contro l’HIV. Ogni 2 minuti un adolescente contrae il virus. Se entro il 2030 non metteremo a punto interventi preventivi efficaci, i nuovi casi di contagio potrebbero passare da 250 mila a 400 mila l’anno.
Sull’HIV sono tanti i falsi miti, tra cui quello che vuole che a causa del virus si sia destinati a morire prematuramente: secondo l’AIDS United, un ventenne a cui venga diagnosticata l’infezione, se inizia le terapie in modo tempestivo, ha un’aspettativa di vita di altri 55 anni (5 in meno rispetto a una persona sana).
Un fatto che al di fuori dell’ambiente medico si conosce poco è che chi è affetto da HIV corre il rischio di soffrire di disturbi neurocognitivi associati (HAND). La condizione, infatti, causa disorientamento cognitivo di varia entità.
Indice
Il virus nel cervello
L’HIV si insinua nel Sistema Nervoso Centrale attraversando la barriera emato-encefalica; non infetta direttamente i neuroni ma produce un danno sinapto-dendritico (Woods et al., 2009). A livello neurale, interrompe i collegamenti fronto-striato-talamo-corticali, attacca la sostanza bianca e le cortecce temporali, parietali e frontali. Il 70% degli individui affetti dal virus presenta una qualche complicanza neurologica (all’esame autoptico si osservano anomalie del tessuto nervoso nell’80-90% dei casi) e in circa il 20% delle persone sieropositive i sintomi neurologici costituiscono una delle prime manifestazioni di malattia (Berger et al., 1987).
Studi recenti
Uno studio del 2010 (Heaton RK et al, Neurology, 2010) ha cercato di scoprire quale fosse la frequenza e la peculiarità di questi disturbi in un campione di 1555 adulti con infezione da HIV afferenti a sei diverse cliniche americane.
Secondo lo studio:
- il 52% mostra declino cognitivo – neuropsicologico
- il 33% ha un declino neurocognitivo asintomatico
- il 12% manifesta un disturbo neurocognitivo lieve
- il 2% sviluppa una demenza associata ad HIV
Un altro team di ricercatori, stavolta della San Diego School of Medicine presso la University of California, ha indagato a livello microscopico questo problema. Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience (scarica il PDF gratuito), si è concentrato in particolare sul ruolo della proteina Tat nel processo noto come autofagia.
I neuroni producono un sacco di proteine come parte delle loro funzioni normali e alcune di esse sono danneggiate e hanno bisogno di essere eliminate. L’autofagia agisce come un tritarifiuti e rimuove e distrugge le proteine danneggiate – spiega uno degli autori, Eliezer Masliah
Nei pazienti affetti da Hiv sembra che questa proteina – Tat – ostacoli tale processo e causi di fatto l’accumulo di materiali di scarto e quindi la morte dei neuroni.
Ma quali sono i principali disturbi neurocognitivi associati all’infezione da HIV?
Già nel 1991 l’American Academy of Neurology proponeva una classificazione (Jannsen RS, Cornblath DR, Epstein LG 1991) che divideva il declino cognitivo dell’HIV in due livelli:
- disordine cognitivo-motorio minore (MCMD)
- demenza HIV-correlata (HAD)
Nel 2007, un gruppo di ricercatori italiani suggerì di rivedere questa classificazione soprattutto alla luce dell’introduzione dei farmaci antiretrovirali (HAART). La caratteristica principale dell’HAND, secondo gli autori (Antinori et al., 2007), è l’impaccio neuro-cognitivo delle funzioni esecutive, della memoria episodica e della velocità di elaborazione delle informazioni (Woods et al. 2009).
Sempre nel 2007, l’HIV Neurobehavioral Research Center ha ridefinito i livelli HAND in
- Asymptomatic Neurocognitive Impairment (ANI): presente nel 20-30% degli individui affetti da HIV. Le prestazioni ai test si discostano di almeno una deviazione standard dalla media di riferimento, in almeno due domini cognitivi
- Mild Neurocognitive Disorder (MND): deficit cognitivo lieve-moderato (incidenza stimata tra il 5 e il 14% negli individui con sintomi precoci)
- HIV-Associated Dementia (HAD): forma più grave e più rara caratterizzata da disturbi moderati-gravi. I valori si discostano di due deviazioni standard in almeno altrettanti domini cognitivi, con rilevanti difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane
La valutazione neuropsicologica è il principale strumento di analisi e monitoraggio del decadimento cognitivo – andrebbe ripetuta a cadenza semestrale. Per quanto concerne il trattamento, non vi sono protocolli specifici. Appare dunque imprescindibile – per la qualità della vita e l’adattamento alle cure – che un’approfondita valutazione neuropsicologica individui i disturbi cognitivi in maniera precoce al fine di implementare strategie di stimolazione e rieducazione neuropsicologica personalizzate.